Il piroscafo Oria
Pochi sanno del naufragio del piroscafo norvegese Oria e degli oltre 4000 militari italiani che vi hanno perso la vita.
Varata nel 1920, la nave di 2000 tonnellate fu requisita dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale e salpò l’11 febbraio 1944 alle ore 17:40 da Rodi per il Pireo. A bordo più di 4000 prigionieri italiani che si erano rifiutati di aderire al nazismo o alla RSI dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, 90 tedeschi di guardia o di passaggio e l’equipaggio norvegese.
L’indomani, 12 febbraio, colto da una tempesta, il piroscafo affondò presso Capo Sounion, a 25 miglia dalla destinazione finale, dopo essersi incagliato nei bassi fondali prospicienti l’isola di Patroklos (in Italia erroneamente nota col nome di isola di Goidano). I soccorsi, ostacolati dalle pessime condizioni meteo, consentirono di salvare solo 37 italiani, 6 tedeschi, un greco, 5 uomini dell’equipaggio, incluso il comandante Bearne Rasmussen e il primo ufficiale di macchina.
Nel 1955 il relitto fu smembrato dai palombari greci per recuperare il ferro, mentre le salme di circa 250 naufraghi, trascinati sulla costa dal fortunale e sepolti in fosse comuni, furono traslati, in seguito, nei piccoli cimiteri dei paesi della costa pugliese e, successivamente, nel Sacrario dei caduti d’Oltremare di Bari. I resti di tutti gli altri sono ancora là sotto.
La tragedia si consumò in pochi minuti. Può essere ricostruita grazie alla testimonianza di uno dei sopravvissuti, il sergente di artiglieria Giuseppe Guarisco, che il 27 ottobre 1946 ha redatto di proprio pugno per la Direzione generale del ministero un resoconto lucido del naufragio: «Dopo l’urto della nave contro lo scoglio – scrive Guarisco – venni gettato per terra e quando potei rialzarmi un’ondata fortissima mi spinse in un localetto situato a prua della nave, sullo stesso piano della coperta, la cui porta si chiuse. In detto locale c’era ancora la luce accesa e vidi che vi erano altri sei militari. Dopo poco la luce si spense e l’acqua iniziò ad entrare con maggior violenza. Salimmo in una specie di armadio per restare all’asciutto, di tanto in tanto mettevo un piede in basso per vedere il livello dell’acqua. Passammo la notte pregando col terrore che tutto si inabissasse in fondo al mare. All’indomani, nel silenzio spettrale della tragedia, i sette riuscirono a smontare il vetro dell’oblò, ma non ad uscire da quell’anfratto, perché il buco era troppo stretto. Le ore passavano ma nessuno veniva in nostro soccorso […]. Uno di noi, sfruttando il momento che la porta rimaneva aperta, si gettò oltre essa per trovare qualche via d’uscita e dopo un’attesa che ci parve eterna lo vedemmo chiamarci al di sopra del finestrino. Ci disse allora che era passato attraverso uno squarcio appena sott’acqua. Un altro compagno, pur essendo stato da me dissuaso, volle tentare l’uscita ma non lo rivedemmo più. I naufraghi rimasero due giorni e mezzo rinchiusi là dentro prima dell’arrivo dei soccorsi dal Pireo. Quello che era riuscito ad uscire ci disse che dove eravamo noi, all’estremità della prua, era l’unica parte della nave rimasta fuori dall’acqua e che intorno non si vedeva nessuno all’infuori degli aerei che continuavano a incrociarsi nel cielo e ai quali faceva segnali. Poco dopo si accostò una barca con due marinai; essi dissero che erano italiani, dell’equipaggio di un rimorchiatore requisito dai tedeschi. Ci dissero di stare calmi che presto ci avrebbero liberati. Ma sopraggiunse l’oscurità e dovemmo passare un’altra nottata più tremenda forse della prima».
La vicenda di Angelo Leonardi da Itieli
Tra gli italiani imbarcati sul piroscafo Oria, si trovava anche Angelo Leonardi, giovane militare che abitava con i suoi famigliari ad Itieli.
Sin dalla notizia della tragedia, la madre di Angelo Sestilia Nevi non volle rassegnarsi al fatto che il suo amato figliolo fosse tra le migliaia di soldati periti nel naufragio, così dal giorno della tragedia si mise alla ricerca di informazioni che le permettessero di sapere quale destino fosse toccato al proprio figlio.
Con la speranza che suo figlio fosse tra i dispersi, Sestilia si adoperò in tutti i modi per avere notizie del figlio a discapito dei limitati mezzi di comunicazione di allora; e quando alcuni anni dopo attraverso una trasmissione radiofonica Sestilia venne a sapere che a Genova c’era un uomo che figurava tra i superstiti del naufragio dell’Oria non esitò a raggiungere il capoluogo ligure con mezzi di fortuna, camminando anche a piedi per diversi tratti.
Lì trovo un soldato che aveva perso la memoria. Non riuscendo a riconoscerlo, chiese all’uomo di fargli vedere se avesse sul proprio corpo una cicatrice che il suo Angelo si era fatto da ragazzo. Quella cicatrice non c’era e Sestilia capì che quell’uomo non era suo figlio.
Tornata ad Itieli, Sestilia non smise di continuare la sua ricerca, senza perdere mai la speranza che suo figlio Angelo fosse ancora vivo. Morì il primo gennaio del 1973, prima di sapere la verità.
Fu solo nel 1999 infatti che la vicenda trovò la sua conclusione, quando il sub greco Aristotelis Zervoudis individuò il luogo del disastro dopo anni di ricerche. Tra i documenti recuperati dal relitto e in particolare nell’elenco dei militari presenti a bordo compare anche il nome di Angelo Leonardi.
Le lettere di Angelo a sua Madre Sestilia
Cara mamma
Vengo a darvi le mie notizie per ora godo una perfetta salute e cosi mi voglio assicurare che sia di voi tutti.
Cara mamma oggi che è la festa della madonna di menzo agosto sono a farvi cuesta lettera per darvi le buone notizie.
Cara mamma cuesta mattina siamo andati a fare un bagno al mare e ci siamo divertidi diverso e poi alle dieci siamo ritornati al campo mentre appena che siamo tornati a sonado subito il rangio e oggi cie stata una pasta sciutta speciale che mango il giorno di pascua ci siamo stati bene come oggi e o preso due cavette di pasta sciutta che una lo lassada per questa sera che non lo poduta fenirmela e invece cuando che stavo nella batteria mia li padevo sempre la fame e invece cua ciavemo tutto.
Cara mamma sono tre giorni che sono passado dunaltra batteria a la sussistenza da mangiare è buono e sufficende in zomma mi trovo contendo anche se mi dispiace che non o piu i miei compagni e sono distande di me anche ce uno sta come cuello che si chiamava rossi e ci vediamo cuasi tutte sere lui è rimasto in batteria invece io sto con unaltra batteria come è un po brutto che non si trova niende cualche volta ci portano luva coi somari a vendere e costa otto lire ma è bella e poi non si trova niende altro cuella ci pare i confetti non si trova carta per scrivere e frangobolli ma farò alla meglio se va cualche anziano che va a rodi e così me li fo comprare.
Cara mamma cua il più male che è troppo sole ci fa dolire sempre la testa che si no il lavoro è poco cie la sveia alle quattro e si va a lavorare alle quattro e menza e stacamo alle nove e menza e doppo cie il riposo fino alle quattro e poi si riprende il lavoro e si lavora fino alle oto e poi il lavoro è poco e poi sotto la naia si lavora sempre poco.
Cara mamma cuando che mi rispondi mi farai sapere cualche cosa di bello ma certo che caro fratello cuando mi rispondi mi farai sapere come va la caccia e come va il lavoro e se cia piovuto e ci sono cosi male certo che si stavo a casa io era più bello per tutti ma pare che il destino non a vorzuto tocca rassegnarsi a tutto che tutto passerà presto che stemo per la strada.
Cara mamma mi farede sapere come sono andate le patate e come sie fatta luva certo che cuistanno sarà poca mi dite che la raccorda del grano è andata male ma che vorisi fare bisogna rassegnarsi a cuello che cie scappado basta che avede la salude che cuella è la più bella di tutto cuesto e il mio indirizzo.
art Leonardi Angelo
55 Raggruppamento
45 Gruppo da 152. pc.
187 Batteria
PM 550
Non mi prolungo altro vi mando tandi cari saluti e baci a te e le mie sorelle e fratello di piu’ saludi a i miei paesani e chi domanda di me
ciavo ciavo
Saluti da chi sempre vi ricorda vostro affezionatissimo
Angelo Leonardi
Testo:
Dicembre 25/12/1943
Carissima mamma.
Doppo un lungo tempo vengo a farvi le mie buone notizie fin da oggi e anche all’avvenire speriamo per grazie de dio e come mi voglio assicurare di voi tutti.
a vorde che avede saputo anhe cualche cosa di Valentino certo che sono troppo dispiacende che non posso sapere le vostre notizie e anche le mie ma oggi che è il santissimo natale e anche oggi ci siamo arrivati e sto passando un bellissimo giorno e come mi voglio assicurare di voi ma io ceredo che pensiate troppo a me. Ma non pensate male che io sto bene ma certo che si sta meglio a casa ma che vorissi fare bisogna rassegnarsi a tutto che tutto passerà e si ritornerà alla nostra casa che io non vedo l’ora di podere rivederci presto.
Cara mamma mi scuserete se non ho potuto scrivere prima perché non ci hanno fatto scrivere ma oggi che ci hanno dato la libertà ancora mi voglio ricordare di voi ma certo che sono stato sempre in pensiero per voi ma certo che anche voi più di me ma che vorissi fare bisogna rassegnarsi a tutto che tutto passerà ma certo che se podesse fare un volo e podesse venire a casa sarebbe la mia gioia e anche la vostra felicità.
Cara mamma mi scuserete se ho scritto male sono tre mesi che non tengo più la penna nelle mani.
di più mi prolungo altro vi mando tandi saluti baci a tutti e un forte abbraccio a un presto ritorno.
Saluti chi sempre ricorda a tutti paesani ciao a presto vostro affezionatissimo figlio Angelo.
Itieli
Itieli – 05035, Narni
Il castello è visitabile a piedi tutto l’anno.
Si può parcheggiare nel punto più alto, sul retro della Chiesa di San Nicola e, da lì, raggiungere a piedi la piazzetta delle Andusse.
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